09/11/16

Mistero all'alba

La sveglia, puntuale e inesorabile, suona alle 5.50.
Il tempo di riprendere coscienza e conoscenza e mi alzo. Salgo in cucina, inizio a preparare la mia colazione e contemporaneamente il pranzo.
Ed è proprio mentre ammollo la bustina del tè nella tazza d'acqua bollente, che lo sento.
Sembra un bambino che piange.
Ogni traccia residua di sonno svanisce d'un colpo. Mi avvicino alle scale per capire se il pianto è di una delle mie figlie, ma no. Proviene da fuori, dalla strada.

Sono le 6.10. Che ci fa un bambino per strada a quest'ora? E perché piange?
Vorrei affacciarmi, ma piove. Il pianto cessa. Mi siedo a tavola e comincio a sorseggiare piano il tè.
Pochi minuti dopo, di nuovo.
Stavolta è un lamento più doloroso, non è un pianto a dirotto, non è un urlo di disperazione o di stizza o di capriccio. È un sommesso lamento di dolore, di sofferenza, un mugolio cantilenante mormorato dalla voce di un bambino.
Guardo fuori. Non piove più.
Una seconda voce si associa alla prima. Una voce più roca, che sembra articolare parole di senso compiuto, ma in una lingua sconosciuta.
Finisco il tè e mi affaccio, curiosa di scoprire cosa succede sotto casa mia alle prime luci dell'alba. Quali creature popolino e si lamentino la strada dove abito, e soprattutto quali atroci sofferenze spingano il bambino a piangere così, sommesso e rassegnato al dolore.
Mentre attraverso i pochi metri di larghezza della mia terrazza, mi chiedo cosa fare dopo averlo scoperto. Nel mio immaginario si accavallano immagini di profughi scampati a chissà quali atrocità, o bambini fuggiti da casa, da genitori o tutori orchi. Se è davvero così, che faccio? Chiamo subito i carabinieri, l'ambulanza...

Arrivo al parapetto della terrazza. Le due voci dialogano ancora in quella lingua incomprensibile. La prima voce soffre, la seconda è rabbiosa.

Sono due gatti. La femmina è in calore e il maschio la sta studiando per capire quanto.

Rientro in cucina e inizio ad affettare la cipolla e preparare il pranzo.

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